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Vangelo del giorno
Venerdì 10 Maggio 2024
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

(Gv. 16,16-23)

Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Tirisan

 Un giorno, recatami sulla riva del fiume Gave per raccogliere legna insieme con due fanciulle, sentii un rumore.

Mi volsi verso il prato ma vidi che gli alberi non si muovevano affatto, per cui levai la testa e guardai la grotta. Vidi una Signora rivestita di vesti candide. Indossava un abito bianco ed era cinta da una fascia azzurra. Su ognuno dei piedi aveva una rosa d’oro, che era dello stesso colore della corona del rosario.

 

A quella vista mi stropicciai gli occhi, credendo a un abbaglio. Misi le mani in grembo, dove trovai la mia corona del rosario. Volli anche farmi il segno della croce sulla fronte, ma non riuscii ad alzare la mano, che mi cadde.

Avendo quella Signora fatto il segno della croce, anch’io, pur con mano tremante, mi sforzai e finalmente vi riuscii. Cominciai al tempo stesso a recitare il rosario, mentre anche la stessa Signora faceva scorrere i grani del suo rosario senza tuttavia muovere le labbra. Terminato il rosario la visione subito scomparve.

Domandai alle due fanciulle se avessero visto qualcosa, ma quelle dissero di no; anzi mi interrogarono cosa avessi da rivelare loro. Allora risposi di aver visto una Signora in bianche vesti, ma non sapevo chi fosse. Le avvertii però di non farne parola. Allora anch’esse mi esortarono a non tornare più in quel luogo, ma io mi rifiutai.

Vi ritornai pertanto la domenica, sentendo di esservi interiormente chiamata. Quella Signora mi parlò soltanto la terza volta e mi chiese se volessi recarmi da lei per quindici giorni. Io le risposi di sì. Ella aggiunse che dovevo esortare i sacerdoti perché facessero costruire là una cappella; poi mi comandò di bere alla fontana. Siccome non ne vedevo alcuna, andavo verso il fiume Gave, ma ella mi fece cenno che non parlava del fiume e mi mostrò col dito una fontana. Recatami là, non trovai se non poca acqua fangosa.

Accostai la mano, ma non potei prender niente; perciò cominciai a scavare e finalmente potei attingere un pò d’acqua; la buttai via per tre volte, alla quarta invece potei berla. La visione allora scomparve, ed io me ne tornai verso casa.

Per quindici giorni però ritornai colà e la Signora mi apparve tutti i giorni tranne un lunedì e un venerdì, dicendomi di nuovo di avvertire i sacerdoti che facessero costruire là una cappella di andare a lavarmi alla fontana e di pregare per la conversione dei peccatori. Le domandai più volte chi fosse, ma sorrideva dolcemente. Alla fine, tenendo le braccia levate ed alzando gli occhi al cielo mi disse di essere l’Immacolata Concezione.

Nello spazio di quei quindici giorni mi svelò anche tre segreti, che mi proibì assolutamente di rivelare ad alcuno cosa che io ho fedelmente osservato fino ad oggi.

Da “Uno stralcio della conversazione di don Giuseppe Dossetti ai giovani preti foggiani”   Montesole 21 giugno 1996 

 ( da” Voce di Popolo – 18.01.2007 )

  Io dico due cose, e una terza la aggiungo, come dice il libro dei proverbi. Le due sono queste: il Vangelo e i Salmi.  Nessuna scoperta.  Credo che astutamente tutta la vita della chiesa oggi più che mai, domani più che oggi, in un grande flusso storico che adesso neppure possiamo prevedere o sognare ma che è alle porte 

 nei prossimi anni, nei primi anni del secolo prossimo, tutta la vita della Chiesa dipenda dal Vangelo, inquadrato e naturalmente vissuto nell’Eucarestia.

     Vangelo e Salterio

 Il Vangelo: che i preti e i laici, senza differenze quasi, si immergono nel Vangelo.

 Questo lo dico con una particolarissima e specifica insistenza anche quantitativa: leggerlo, leggerlo, leggerlo, leggerlo, formarvi su di esso, sul Vangelo letto infinitamente, mille volte al giorno se fosse possibile, sine glossa.   Lettura continua il più possibile.

 Leggete il vangelo, turandovi le orecchie e sradicando i pensieri; ci pensa poi Lui a sradicarli ancora più profondamente in un rapporto continuo, personale, vissuto,creduto con tutto l’essere; e sapendo di accogliere la parola di Dio come Gesù l’ha seminata quando andava per le strade della Galilea.

 Ascoltare il Vangelo così com’è, senza glossa,come diceva Francesco continuamente, in maniera che raschi il vostro cervello, veramente lo raschi completamente, e invece vi plasmi lo spirito.

  Raschi il cervello e plasmi lo spirito,senza che ve ne accorgiate non stancandovi mai perché è assurdo stancarsi del Vangelo.

  È di una profondità infinita inesausta e inesauribile. E continuamente ci plasma, ci sostiene, ci forma, ci crea, come cristiani prima di tutto.

Sino a Gregorio Magno, e anche dopo di lui, c’erano canoni che impedivano ad uno di diventare sacerdote se non sapeva il Salterio a memoria; si è prolungata a lungo questa tradizione nella Chiesa.

Non ci chiedevano lauree, non ci chiedevano studi di antropologia teologica, ma di sapere a memoria il Salterio.

    Questa, secondo me, era un esigenza di laurea più alta e più forte.

Sempre rispettando i valori che possono essere inclusi nella cultura moderna e nel progresso anche degli studi teologici e biblici, ma trascendendo.

Mi sono fatto rilegare l’edizione critica del Nuovo Testamento, quella fatta dai grandi, da Martini, Metzger, eccetera, con il Salterio dell’Alfa, greco, e li tengo insieme e continuamente passo dall’uno all’altro, li mescolo, li impasticcio, li lavoro, però sono loro che mi lavorano.

 Questo solo trovo che sia veramente fruttuoso e meritevole di farlo. Salterio e Vangelo, Vangelo e Salterio.

 Avete tanti impegni, ciascuno secondo la vostra collocazione pastorale o da un mandato superiore, però nulla impedisce questo; si fa insieme.

     Immergersi nella storia

 Queste sono le due cose che vi volevo dire.

 Adesso aggiungo la terza: la storia.

Bisogna immergersi nella storia, conoscerla, non superficialmente, ma profondamente.     Non potete fare a meno di conoscerla, di studiarla.

 E di studiare non solo la storia della Chiesa, ma anche la storia della civiltà e della società civile, della società e della civiltà profana, di quelle che noi chiamiamo “la storia mondana”.

 Perché il mondo c’è, è una componente essenziale del Creatore e del Redentore. E quindi bisogna averne il senso, non semplicemente leggere la cronaca.

 Un tempo, quando ero uomo politico, non leggevo i giornali, trovavo tutti i giorni il pacco di tutti i quotidiani d’Italia, e la rassegna stampa non la leggevo nemmeno.

Purtroppo in questi ultimi mesi, un po’ per la malattia, un po’ per una divagazione del mio spirito, un po’ per infedeltà, devo dire, mi ero rimesso a leggere i giornali.

Adesso che sono tornato qui, dove non mettevo piede da nove mesi o dieci, sono tornato alle mie origini, non leggo i giornali ma cerco di conoscere la storia. Attraverso grandi opere di storia: avere pazienza, entrarci dentro, dovrebbe essere un pochino la lettura, un pochino tutti i giorni.

Questo è indispensabile, più ancora che gli studi – scusate, mi umilio se dico una stupidaggine, forse la dico stupida, ma veramente stupida- più antica di alcuni teologumai.

  Oggi qui in Italia c’è un grande fervore degli scritti teologici o del pensiero rinato o appena formato. Ma sono molti teologumai.

 Non è Vangelo, sono ‘elucubrazioni su’ ma – penso io – sono sempre centrate o sempre meno vere esistenzialmente, sempre meno rapportate a quella che è la realtà che si sta facendo in maniera impressionante della vita della Chiesa e anche del mondo.

  Leggete libri di solida formazione storica, una pagina al giorno, ma con continuità.

È poco forse? Ma è indispensabile avere il senso storico, non tanto sapere i fatti, che delle volte sono troppo complessi o troppo parziali rispetto all’universalità del grande flusso storico, ma avere un po’ di senso storico.

 Allora si relativizzano, giustamente e con moderazione, anche tante cose che devono essere evidentemente superate, che possono essere state convenzioni storiche, ma non sufficientemente rapportate al nucleo essenziale del kerygma, dell’evangelo.

E scoprirete, attraverso questa occasione che vi è offerta dalla storia, evidentemente la necessità di arrivare sempre di più al sodo dell’evangelo, in modo sempre più liberante, sempre più di fede, sempre più capace di nutrire la vostra castità, la vostra povertà, la vostra obbedienza, per le necessità vitali dell’esistenza vostra e del mondo che vi circonda.

Senza di questo non si vive, non si hanno abbastanza stimoli veri, generali, complessivi, sintetici, a vivere da cristiani completi e da sacerdoti attivi e volenterosi nell’opera e nell’evangelo.

 Il Vangelo e i Salmi, come espressione della vostra preghiera, del vostro personale contatto con Dio; e la storia, fatta sui grandi libri, sulle grandi sintesi.

 

      

  Commovente e partecipata, viva di ricordi vecchi e recenti la giornata organizzata dalla Camera del Lavoro di Castelbuono,domenica 10 Gennaio 2010, in ricordo di uno dei sindacalisti più impegnati nel nostro territorio, Leonardo Sferruzza, [ nel ventennale della sua scomparsa ] a cui è stata intitolata la sede locale della Camera del Lavoro.  Tante le presenze all’evento: rappresentati del mondo sindacale, tra cui Salvatore Tripi,(Segr. Gen. della FLAI CGIL SICILIA) numerosi politici locali, vecchi e nuovi amministratori, rappresentanti di categorie,

del mondo della scuola, i familiari e poi la gente, tanta gente comune di ogni età che ha viva la memoria di Leonardo Sferruzza.

Numerosi gli interventi.

Ha introdotto la manifestazione Nuccio Ribaudo che, avendo lavorato per anni, a fianco di Nardo Sferruzza ne ha ricordato l’impegno onesto e rigoroso, nonché la lungimiranza per lotte allora poco comprensibili ma attualissime oggi.

  Lotte che hanno visto salvaguardate tante ricchezze del nostro territorio, tra le quali il bosco.

 Di seguito l’intervento  del Responsabile FLAI CGIL Madonie Vincenzo Capuana che, tra l’altro, soddisfatto per la realizzazione di un impegno preso in un comizio in piazza Margherita , ha detto  “Ed è un merito, per la nostra comunità, dove mai è attecchita la cultura mafiosa oggi intestare la Camera del Lavoro ad un Compagno che ha vissuto per intero tutte le stagioni della vita,  fino all’inverno della malattia e la morte.”

Poi non volendo “fare un affresco dell’Uomo e del Dirigente Sindacale “ lasciando “ tale compito a coloro che mi seguiranno nel racconto di aneddoti di vita vissuta “ ha continuato sottolinenado che l’intestazione della camera del lavoro a Nardo Sferruzza vuole essere un giusto riconoscimento non solo ad un compagno che con passione, impegno ed abnegazione ha organizzato storiche lotte per il lavoro e per il raggiungimento di fondamentali diritti  ma anche ad un rappresentante di quella Classe Dirigente del Sindacato, Ciccio Di Galbo – Angelo Lima – Angelo Occorso – Michele Spallino solo per citarne alcuni, che dagli anni ’50 in poi è stata punto di riferimento determinante per l’emancipazione della classe operaia e per la crescita della nostra  Comunità. “

Oltre a un giusto riconoscimento anche  “ il premio agli uomini, dalle origini umili e senza studi,  nati con le stigmate di classe dirigente che hanno caratterizzato quella generazione  … capace di superare fattori limitanti oggettivi  quali lo spazio e il tempo, l’analfabetismo, la povertà e la fame.”

Con quella generazione “ la conquista di fondamentali diritti per i lavoratori ma non solo, penso ad esempio alle grandi battaglie referendarie … il divorzio, l’aborto, il movimento pacifista e a Castelbuono le iniziative per il Piano Regolatore, per il Consorzio Manna ad esempio….. “

Poi ha continuato invocando la necessità che si riannodi il “filo che si è spezzato: dalle città ai comuni, nelle università, nei luoghi del lavoro e nelle periferie sociali deve essere ritessuta una rete di partecipazione, capace di portare nuove idee e nuovi protagonisti, capace di ricostruire quel legame tra la politica e la società. Perché se  è vero … che la CGIL non è un partito ma fa politica, è dentro questa affermazione il senso di questo giorno. Il bisogno di unire, la necessità di andare insieme dalla stessa parte, la volontà della condivisione e della educazione. Una strategia che cerca la sintesi tra saggezza e rischio, realismo e sogno, ragione e sentimento. “

 In questo contesto, con uno sguardo alla fase congressuale della CGIL, che si concluderà il prossimo maggio a Rimini con il congresso nazionale, ha proseguito dicendo che La CGIL  deve avere i piedi per terra ma muoversi a tempo di utopia. Quell’utopia che serve per continuare a cercare l’orizzonte dove andare. Il bene comune, una sostanziale convergenza sull’uomo.”

Concludendo “  l’ augurio .. di scoprire il dolce sapore della conquista di nuovi diritti, continuare ad assaporare il gusto di diritti già acquisiti con la consapevolezza del senso del dovere e, se necessario, non indietreggiando davanti  la durezza della lotta.

Quella targa sarà lì, e ovunque noi porteremo la Camera del Lavoro, e speriamo di comprarla una sede definitiva, come stella polare di comportamento e azione soprattutto nei momenti più duri e di sconforto, e non solo per chi come me seppure, in un ricordo da bambino, ha conosciuto quegli uomini.”

Di seguito un breve ricordo di Carmelo Mazzola che ,ricordandolo  amico e compagno di lavoro, ne ha sottolineato la correttezza inculcata a tutti nel dire che prima di lottare bisogna essere a posto con i propri doveri di lavoratore.

  Sono seguiti gli interventi del Sindaco Mario Cicero e del Presidente del Consiglio Prof. Martino Spallino che ricordandolo come “ collettore di voti “ né ha sottolineato il grande spirito di servizio alla politica e dedizione al sindacato nel cedere subito il posto a chi lo seguiva per ritornare ad operare per la tutela dei diritti dei lavoratori.

Subito dopo l’intervento dell’Avvocato Nuccio Di Napoli che riportiamo in buona parte perché ci ha colpito per la sapienza ( che come è detto in Qoelet è creatrice e formatrice dell’uomo , senza la quale anche il più perfetto degli uomini sarebbe stimato un nulla… )

  Ha esordito ricordando che tra i vari maestri avuti nella vita “…i miei maestri politici trovano primi fra tutti Gino Carollo, Nardo Sferruzza, Angelo Occorso – rude maestro – Angelo Lima, Mico Santannuzza – Domenico Cicero -, Andrea Sottile, ed un rimpianto mi guida alla memoria di Angelino Botta.”

Da tutti la trasmissione di “duri insegnamenti dell’esperienza e della realtà, da ciascuno un senso della vita, su cui meditare. …  Da Gino Carollo la esuberanza politica, la espansione di umana fascinosità, irripetibile …. Da Nardo la pacatezza che rassicurava chiunque, specialmente donna, e allontanava ogni imbarazzo quando gli si chiedeva la prestazione sindacale – corrisposta sempre indipendentemente dall’appartenenza politica; la disponibilità che era  assoluta, specie nel colloquiare,” mentre “veicolava il proprio pensiero politico nel massimo rispetto per gli altri,per il loro pensare diverso ….”

Ha poi continuato affermando che “così assumeva nella propria condotta una vera e propria  adesione alla democrazia” .

Ha poi proseguito (richiamando, forse, Gustavo Zagrebelsky:” Pensando e ripensando, non trovo altro fondamento della democrazia che questo solo. Solo, ma grande: il rispetto di sé. La democrazia è l’ unica forma di reggimento politico che rispetta la mia dignità nella sfera pubblica, mi riconosce capace di discutere e decidere sulla mia esistenza in rapporto con gli altri. Nessun altro regime mi presta questo riconoscimento, poiché mi considera indegno di autonomia, fuori della cerchia stretta delle mie relazioni puramente private.”) affermando  quanto radicato fosse in Nardo  l’ideale di democrazia che necessariamente deve condurre ad un dialogo alla pari:   “ ideale assolutamente corrispondente alla sua idea di dignità umana, di rispetto per l’uomo, aborrendo da ogni interesse corporativo e fazioso, così lottando contro le disuguaglianze e le ingiustizie, come pure contro l’apatia politica e contro la tronfiezza di sé per assicurare a questa nostra cittadina ciò di cui ha più bisogno, la fioritura del pensiero, delle arti e, prima di tutto, dell’intelletto; solo così si perseguono gli spazi verso la libera comunicazione fra eguali….”

 Ha continuato dicendo che “Oggi la nostra è diventata una società del rischio perché dimentica della eguaglianza democratica, della idea dei  diritti di eguale cittadinanza: Nardo auspicava società di equa cooperazione fra persone libere ed eguali e che hanno pari dignità.”

 Poi una splendida analisi sul “parlare”: “ Allora rammento a tutti che il discorso, il parlare, il «sermo», come è meglio chiamarlo, il «sermo» è generato dall’intelletto e genera l’intelletto ( Abelardo), quindi il «sermo» non è la vacuità del parlare se è generato dall’intelletto, ed è per questo che genera l’intelletto: e non è figlio dell’essere letterato, ma è figlio di chi possiede l’intuizione geniale.

 Mi piace richiamare, con il «sermo», la profonda fatica filologica da cui deriva l’affascinante esplorazione della vita sotterranea delle parole, sino a comprendere la complessa dinamica dei rapporti sociali.”

Ha poi proseguito, citando Seneca, “se un uomo è un uomo, allora deve interessargli tutto quanto si riferisce ad un uomo –  ecco che colgo la grande umanità di Nardo Sferruzza, il suo intelletto, perché possedeva la più bella virtù di un animo generoso,- che è l’impulso che spinge al bene” 

Ha poi concluso: “Ecco perché lo ho indicato  fra i miei maestri!  E Nardo Sferruzza merita l’onore della memoria.

Il Significato delle cose non deve essere messo dentro le cose da noi, ma tratto da noi.

Nardo Sferruzza oggi lo si è onorato ! Ed io lo onoro con voi !”

 Poi, tra gli altri, gli interventii del Rag. Francesco Romeo, già Sindaco di Castelbuono, che, nello spirito di “ fare memoria” ha ripercorso  gli inizi del sindacato a Castelbuono a partire dai primi anni del novecento [ molti i nomi ricordati :  Ciccio Di Galbo – Angelo Botta – Angelo Lima – Angelo Occorso – Michele Spallino ] sollecitando ai giovani il dovere della memoria.

Ricordando poi i fatti di Rosarno ( come anche all’inizio aveva fatto Nuccio Ribaudo) ha sollecitato una attenzione del Sindacato e dell’amministrazione comunale al problema locale dell’immigrazione che non si può ignorare soprattutto  per quanto concerne problematiche come accoglienza,  lavoro nero e diritti, spesso anche da noi calpestati.

   I tragici fatto di Rosarno non  possono lasciarci nell’indifferenza.      Quanto sopportare  ancora un ministro che punta il dito ” sull’eccessiva tolleranza con cui, in questi anni, è stata accettata, senza reagire e con “troppo lassismo”, “un’immigrazione clandestina che ha alimentato la criminalità e ha generato una situazione di forte degrado    

Gli immigrati .. i maledetti da cacciar via .. eppure sono le stesse persone che hanno lavorato, sfruttati, alle dipendenze di criminali organizzazioni malavitose  e di imprenditori-padroni senza scrupolo,  per una paga miserabile  per arricchire le nostre mense.  

Eppure anche noi siamo stati emigrati, forse più di lusso, perché invece di avere per giaciglio un pezzo di cartone avevamo delle baracche.  

   “Bisogna aiutare i fratelli che sbagliano”, spiega don Pino Varrà, parroco di Rosarno. “E in questi giorni che stiamo vivendo qualcuno ha sbagliato. Ma questo non ci autorizza a colpirlo, a inseguirlo, a ucciderlo, a cacciarlo. Ci obbliga a capire, a fermarci. Per non sbagliare più. Questo dobbiamo fare se vogliamo essere dei cristiani”.  

“Se ho un fratello in famiglia non posso picchiarlo o cacciarlo di casa perché ha rotto un vaso. Devo andargli incontro, sostenerlo, capire cosa è accaduto”.  

  “Vedo finalmente questa chiesa piena, sono contento che moltissimi tra voi sono tornati. Ma vedo anche che manca qualcuno”.  

  “Lo vedete anche voi. Non c’è John. Vi ricordate di lui? Veniva ogni domenica”.  

 “Mancano anche Christian, Luarent. E Didou, il piccolo Didou. Mancano i suoi genitori. Erano come voi, con la pelle più scura, venivano dall’Africa. Non ci sono perché li hanno cacciati”. 
….  “Mi rivolgo ai più grandi, ai genitori. Perché loro hanno un ruolo importante, formativo. A voi dico: non vi fate trascinare verso ragionamenti e reazioni che non sono da cristiani. E’ facile dire: abbiamo ragione noi. Quando siete nati, Dio è stato chiaro: questo è mio figlio. Lo siamo tutti. Tutti abbiamo diritto alla vita, una vita dignitosa, che non ci umili. Anche quelli di un altro colore, anche quelli che sbagliano sempre. Se vogliamo essere cristiani noi non possiamo avere sentimenti di odio e di disprezzo”. 

 “Possiamo anche dire che abbiamo sbagliato. Che i miei fratelli, bianchi e neri hanno sbagliato. Ma lo dobbiamo dire sempre. Non solo quando qualcuno ci sfascia la macchina. Lo dobbiamo sostenere con  forza anche quando altri fanno delle cose ancora più gravi. Cose terribili. Dobbiamo avere il coraggio di gridare e denunciare”.  

  Poi, indicando il presepe: “Non avrebbe senso aver allestito questa opera. Non avrebbe senso festeggiare il Natale. Meglio distruggerlo e metterlo sotto i piedi. Dobbiamo celebrarlo convinti dei valori che lo rappresentano. Perché crediamo nella misericordia e nella solidarietà. Se invece non abbiamo la forza di ribellarci ai soprusi e alle ingiustizie e siamo pronti alle violenze nei confronti dei più deboli, allora non veniamo più in chiesa. Dio saprà giudicare. Saprà chi sono i suoi figli”.   

 Di nuovo, considerate di nuovo
Se questo è un uomo,
Come un rospo a gennaio,
Che si avvia quando è buio e nebbia
E torna quando è nebbia e buio,
Che stramazza a un ciglio di strada,
Odora di kiwi e arance di Natale,
Conosce tre lingue e non ne parla nessuna,
Che contende ai topi la sua cena,
Che ha due ciabatte di scorta,
Una domanda d’asilo,
Una laurea in ingegneria, una fotografia,
E le nasconde sotto i cartoni,
E dorme sui cartoni della Rognetta,
Sotto un tetto d’amianto,
O senza tetto,
Fa il fuoco con la monnezza,
Che se ne sta al posto suo,
In nessun posto,
E se ne sbuca, dopo il tiro a segno,
“Ha sbagliato!”,
Certo che ha sbagliato,
L’Uomo Nero
Della miseria nera,
Del lavoro nero, e da Milano,
Per l’elemosina di un’attenuante
Scrivono grande: NEGRO,
Scartato da un caporale,
Sputato da un povero cristo locale,
Picchiato dai suoi padroni,
Braccato dai loro cani,
Che invidia i vostri cani,
Che invidia la galera
(Un buon posto per impiccarsi)
Che piscia coi cani,
Che azzanna i cani senza padrone,
Che vive tra un No e un No,
Tra un Comune commissariato per mafia
E un Centro di Ultima Accoglienza,
E quando muore, una colletta
Dei suoi fratelli a un euro all’ora
Lo rimanda oltre il mare, oltre il deserto
Alla sua terra –“A quel paese!”
Meditate che questo è stato,
Che questo è ora,
Che Stato è questo,
Rileggete i vostri saggetti sul Problema
Voi che adottate a distanza
Di sicurezza, in Congo, in Guatemala,
E scrivete al calduccio, né di qua né di là,
Nè bontà, roba da Caritas, nè
Brutalità, roba da affari interni,
Tiepidi, come una berretta da notte,
E distogliete gli occhi da questa
Che non è una donna
Da questo che non è un uomo
Che non ha una donna
E i figli, se ha figli, sono distanti,
E pregate di nuovo che i vostri nati
Non torcano il viso da voi.

Conversazione con Adriano Sofri: Considerate di nuovo se questo è un uomo

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