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Vangelo del giorno
Martedì 23 Aprile 2024


Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».(Gv 10,22-30)
Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Esce a giorni in libreria, per i tipi di Paoline Editoriale Libri, Il digiuno nella Chiesa antica. Testi siriaci, latini, greci.

E’ un’antologia di tredici autori con un’introduzione molto ampia che inquadra il tema sia all’interno del cristianesimo che sullo sfondo di alcune antiche civiltà e sistemi religiosi circostanti. Il progetto è frutto di una collaborazione a tre, sull’asse Monteveglio (Ignazio), Roma (Carla Noce, univ. La Sapienza), Bonifati (M. Benedetta). Può darsi che risulti un utile strumento per vivere in modo più consapevole la prossima Quaresima. Di seguito la prefazione che apre il volume.

L’estesa caduta in disuso, almeno in Occidente, del digiuno nella pratica religiosa delle comunità ecclesiali, ivi incluse quelle di vita consacrata, espone facilmente l’opera che il lettore ha tra le mani al rischio di essere classificata tra i reperti di una certa “archeologia spirituale”, utile a qualche specialista e magari a chi ama soddisfare qualche esotica curiosità intellettuale. Se però si pone attenzione alla centralità crescente occupata dalle tematiche legate alla rinuncia al cibo e persino al rifiuto del cibo – fenomeni in buona parte speculari a quelli, anch’essi tipici del nostro Occidente, della sovrabbondanza e dell’abuso di cibo – si comprende come un’antologia patristica sul digiuno possa allora svolgere il compito prezioso di fare ascoltare “voci lontane” in un dibattito di strettissima attualità e dai molteplici risvolti.

È in questa centralità del non-cibo che si nasconde d’altra parte un altro ostacolo, giacché è proprio la quantità di “filosofie” che oggi stimolano, propagandano, propugnano la rinuncia al cibo, a togliere visibilità al “senso cristiano” del digiuno, fino a eclissarlo del tutto.

La scena risulta infatti dominata da quattro potenti protagonisti. C’è prima di tutto “dieta”, paroletta magica e oggi onnipotente, che nella sua derivazione greca (diaita) ha una stretta parentela con zàô, e indica quindi la vita, il modo di vivere, da qui la regola alimentare caratterizzante un buon regime di vita. Lo scopo può essere terapeutico oppure estetico, oppure entrambi insieme; l’importante è che, tenendo in mano due corni così cruciali nella concezione del benessere oggi predominante, Dieta ha tutti i requisiti per rendere obsoleta, incomprensibile, inutile qualsiasi altra motivazione di rinuncia al cibo, prima tra tutte quella religiosa. A meno che non sia in questione uno “sciopero della fame”.

Si pensi infatti a quelle espressioni di digiuno che assumono la forme della protesta, della contestazione, della solidarietà con chi subisce un’ingiustizia. La rinuncia al cibo connotata da simili scopi gode nel tempo presente di un alto prestigio morale per la sua natura eminentemente pacifica e per il fatto che a pagarne il prezzo, sulla propria pelle, è proprio chi lo pratica. La varietà e il carattere laico (anche quando a essere coinvolti sono “uomini di religione”) dei motivi che spingono a intraprendere lo sciopero della fame, restringono però ulteriormente lo spazio oggi lasciato al tipo di digiuno nel quale il lettore si imbatterà attraverso le antiche testimonianze letterarie raccolte in questo volume.

Un terzo formidabile antagonista a questo digiuno perduto è rappresentato dal fenomeno del rifiuto del cibo che assume forme patologiche, che risulta dotato, tra altre cose, di una potenziale carica di concorrenza particolarmente ambigua e insidiosa nei confronti del digiuno religioso. Ci riferiamo all’anoressia “isterica” o “nervosa”, che dal XIX secolo ha annesso formalmente al campo della medicina il comportamento di astensione volontaria al cibo, la rinuncia al bisogno vitale di nutrimento. La complessità di una patologia che interessa in modo particolare il mondo giovanile, e in esso soprattutto la componente femminile, include infatti anche la possibilità di intravedere un legame profondo proprio con le antiche esperienze ascetiche. Nella presentazione all’edizione italiana del saggio di due grandi specialisti belgi, dal titolo estremamente eloquente e provocativo,[ si afferma che «le analogie tra il comportamento di un’adolescente anoressica e quello di un’asceta sono molte: la ricerca della privazione, la negazione e la frustrazione dei bisogni del corpo, il  controllo degli istinti, la tendenza al sacrificio, le distorsioni percettive indotte dal digiuno, l’aspirazione all’immortalità, il rapporto con un’immagine ideale, la vicinanza e la contiguità con la morte». Le differenze profonde tra l’ascetismo religioso, che spinge alla sublimazione, e quello che rimanda a una patologia narcisistica, dominata da un Io rigoroso ed esigente, non sono negate; al tempo stesso però si fa notare i punti di contatto tra l’ideale delle anoressiche, che è quello di non avere bisogni e necessità, di prendere le distanze dalla creaturalità del proprio corpo, e quello dei mistici, per i quali «l’annullamento, la scomparsa del corpo è la condizione e, contemporaneamente, l’effetto della vicinanza a Dio, della totale pienezza dell’essere: “il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”». È con questa chiave interpretativa che dobbiamo rileggere, ad esempio, il celebre racconto del digiuno di quaranta giorni di Simeone lo Stilita, a imitazione di quello di Mosè ed Elia?[1] Vi troviamo la messa in guardia contro il pericolo di un terribile atto d’orgoglio, l’invito rivolto al santo asceta a «non credere che fosse virtù un suicidio, perché esso è la più grande e la prima delle colpe». A questa prudente e paterna obiezione c’è la risposta di Simeone, che ammanta di astuta condiscendenza una determinazione irremovibile: «Mettimi da parte dieci pani e un boccale d’acqua e, se vedo che il mio corpo ha bisogno di nutrimento, li prenderò». Vi  troviamo la solitudine, anzi l’isolamento dell’astinente, garantito da una specie di atto notarile: la porta della celletta viene chiusa e sigillata con il fango. Tutto il dramma tende insomma all’esito finale, testimoniato da chi penetra in quel luogo segreto una volta trascorsi i quaranta giorni e trova «il numero dei pani intatto, il boccale dell’acqua ancora pieno e lui riverso, senza respiro, incapace di muoversi». Ma vivo, e trasfigurato.

Ha diritto di rimanere, un racconto come questo, nel repertorio di quella agiografia che per secoli ha nutrito in Oriente la devozione personale e l’ammirazione per una delle personalità più universalmente note dell’Oriente cristiano, o riceverebbe invece collocazione più appropriata nella letteratura medica sui disturbi del comportamento alimentare, eccellente caso di studio?

Va segnalato un ultimo elemento antagonista, potenziale fattore di eclissi del digiuno cristiano perduto. Esso si sta imponendo grazie alle profonde trasformazioni demografiche in atto in Europa, e per necessaria conseguenza in Italia, a causa dei moti migratori che portano alla formazione di sempre più estese comunità di uomini e donne provenienti da altri paesi e cultura. Il patrimonio religioso di questi nuovi cittadini europei è in molti casi l’elemento più significativo di ciò che essi portano con sé dai luoghi d’origine. Con particolare riguardo all’islam (ma con modalità differenti il discorso vale anche per le religioni dell’estremo oriente), la pratica del digiuno risulta essere elemento di assoluta centralità dell’identità religiosa e mostra la sua forza all’intero corpo sociale. Attraverso l’astensione dal cibo e dalla bevanda in tutti i luoghi pubblici e privati, dall’alba al tramonto, il digiuno ha qui la forza di disegnare il perimetro di una comunità pluri-etnica, unita e solidale nell’atto del culto. L’eclissi si opera qui all’interno dello stesso universo religioso, e non più solo dall’esterno come nei casi precedenti, nel momento in cui il digiuno gradualmente viene percepito come pratica tipica e vitale solo di altre fedi e religioni.

La presente antologia fa dunque parlare i Padri su un tema reso attuale dagli svariati aspetti qui sommariamente richiamati. L’articolazione dell’Introduzione in due sezioni consente di mostrare come tale pratica non nasca dal nulla, ma in dialogo e contatto con i mondi religiosi e culturali nei quali il digiuno cristiano nacque e sviluppò poi i suoi tratti specifici. I tredici autori dell’antologia – tre per l’area siriaca, 

quattro per quella latina, sei per quella greca – non possono esaurire tutta la varietà offerta dalle differenti anime del cristianesimo di età patristica ma ne sono indubbiamente un buon campione. Il digiuno è presentato nel suo alto significato  individuale e collettivo, nella sua portata spirituale aperta tanto al cristiano impegnato in una via di particolare ascesi quanto a quello ancora pienamente mescolato nelle faccende nel mondo, nella sua indole penitenziale e in quella “imitativa”, pezzo non esclusivo ma comunque importante della sequela di quel Maestro che ha lasciato l’esempio e le motivazioni del digiuno del battezzato. In questo orientamento cristologico sta in definitiva il nocciolo della specificità del digiuno dei cristiani, quindi della sua vitale attualità e della capacità di essere fermento di bontà in una società caratterizzata sempre più dalla pluralità delle voci.

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