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Lunedì 22 Aprile 2024


In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».(Gv 10,1-10)
Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Abbiamo letto l’articolo di Enzo Bianchi apparso oggi su Repubblica che vogliamo condividere, sottolineando queste considerazioni: Ma la virtualizzazione della liturgia

significa morte della liturgia che è sempre incontro di corpi e di realtà materiali.” e  “Pastori salariati meno disposti alla cura dei fedeli e dei loro bisogni spirituali rispetto a medici e infermieri del corpo?

Di seguito l’articolo.

La Repubblica – Altrimenti 16 marzo 2020
di ENZO BIANCHI

In questi ultimi giorni siamo testimoni dell’epidemia di coronavirus ma siamo anche travolti dall’epidemia della paura. E in questa condizione faticosa e buia sembra essere travolta anche la Chiesa.

Nessuna polemica da parte mia, nessuna certezza, ma molte domande. L’ho scritto fin dall’inizio di questa emergenza: siamo sicuri che la Chiesa, adottando contro il possibile contagio misure che impediscono liturgie, preghiere e funerali partecipati dalla comunità, sia solidale con chi soffre, ha paura e cerca consolazione?

Rincresce constatare come la Chiesa non sia capace di una parola umile, senza pretese, ma chiara. Abbiamo ricevuto disposizioni ecclesiastiche sull’emergenza, equiparate alla disciplina imposta dall’autorità politica, nelle quali non s’intravede la presenza di preoccupazioni pastorali e cristiane dettate dal Vangelo: compassione, urgenza della cura e della vicinanza ai malati e alle persone in condizione di fragilità, messaggio della speranza per chi è vittima di questa pestilenza. Ci si è limitati alla richiesta di sospendere le celebrazioni, offrire un’eucaristia celebrata in privato, interrompere la celebrazione dei funerali. Ma la virtualizzazione della liturgia significa morte della liturgia cristiana, che è sempre incontro di corpi e di realtà materiali.

Mi è dunque venuto spontaneo domandarmi: ma è veramente morto il prossimo? Anche noi cristiani non sappiamo più cosa è necessario alla nostra vita e cosa è superfluo? Poi finalmente papa Francesco ha detto alcune parole che sembrano aver risvegliato le coscienze: occorre tenere aperte le chiese, accompagnare i malati, andare a visitarli, far risplendere la speranza della vita dove la morte fa le sue incursioni, occorre che la Chiesa assuma la postura di Chiesa in preghiera.

E non ci si può certo consolare constatando che le preoccupazioni della società sono altre: gli eventi sportivi, l’aperitivo, la movida… Un cristiano avrebbe obiezioni da fare di fronte ai vari atteggiamenti che si manifestano in questa emergenza, soprattutto riguardo alla liturgia eucaristica, che deve sempre essere azione di tutta la comunità, senza surrogati che smentiscono la realtà umana del corpo di Cristo che è la comunità e la realtà sacramentale del corpo di Cristo nel pane e nel vino.

È vero che si può pregare in casa, nel segreto — come chiede anche Gesù —, ma senza eucaristia domenicale per i cristiani non è possibile vivere. Chi si ammala e va verso la morte ha bisogno dei sacramenti, della consolazione cristiana, di vivere la speranza della resurrezione con i fratelli e le sorelle, senza sentirsi abbandonato. Se la Chiesa non sa essere presente alla nascita e alla morte delle persone, come potrà mai esserlo nella loro vita? Pastori senza pecore e pecore senza pastori? Pastori salariati meno disposti alla cura dei fedeli e dei loro bisogni spirituali rispetto a medici e infermieri del corpo? Per grazia conosco preti che non abbandonano le pecore malate, anzi le vanno a cercare e a curare affinché vivano in pienezza.

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