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Vangelo del giorno
Martedì 16 Aprile 2024
In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».


(Gv 6,30-35)
Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Da “IL DESERTO NELLA CITTÀ Domenica – Resurrezione: la profezia di Gesù ( di fr. Carlo Carretto )
carlocarretto ….Non è difficile convincersi che la vera profezia del Cristo è la Resurrezione dai morti.
Penso sia davvero il sunto del suo insegnamento, del suo annuncio reso autentico e terribilmente vero del fatto che fu Lui a risorgere per primo, aprendo una via definitiva attesa da secoli con lo spasimo di tutte le morti.
Basta vedere un animale morire dilaniato nelle sue carni, basta vedere un uomo agonizzare per capire che sulla natura tutta quanta pesa un interrogativo insopportabile, una tragedia senza limiti, una oscurità totale.
Nessuno ha saputo dare una risposta. Le parole sono fuori posto quando da un corpo vivo esce un lamento doloroso.
Tutt’al più si può dire con Giobbe:
“Perisca il giorno in cui nacqui
e la notte in cui si disse:
è concepito un uomo”
(Giobbe 3, 3).
La creazione è stata molto paziente nel sopportare la morte per tante generazioni prima che venisse Lui a spiegare le cose.
Certamente era aiutata dallo Spirito che abitava in essa per avere la forza di attendere perché altrimenti non sarebbe stata capace.
La pazienza di morire fa onore ai fiori, agli uccelli, alle volpi, all’uomo.
Io mi commuovo sempre davanti ad una formica che resta immobile schiacciata dalla mia sbadataggine o davanti a un coniglio che mi guarda con gli occhi vuoti mentre io con un coltello gli ho aperto la gola per preparare il pranzo ai miei fratelli.
Guai se cerco di capire!
Meglio vivere tra le pagine di un libro di favole dove vita e morte si incontrano come cose naturali e senza farci paura.
Anche Giovanni non fa paura quando presenta la morte con l’immagine del chicco di grano che muore.
“In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto”
(Giovanni 12, 24).
L’immagine è talmente viva che ha il potere di distrarti dalla visione di questo piccolo chicco che si disfa nella morte. La tua attenzione viene subito portata a contemplare la meraviglia di ciò che capita dopo: nel sole sono apparsi trenta, quaranta chicchi, frutto di quello morto a cui non pensi più.
Proprio come capita alla donna – ed è sempre di Giovanni il paragone – che “quando deve partorire soffre ma poi dimentica le doglie perché è nato al mondo un uomo” (Giovanni 16,21).
Il Vangelo ci sta preparando alla grande spiegazione del perché del dolore e della morte e ci rivela il mistero nascosto nei secoli, “la vita nasce dalla morte” .
Quando avremo visto spuntata tutta la vita dimenticheremo la paura provata sul cammino della morte.
È inutile nascondercelo. Il Vangelo è escatologico.
Nelle sue tappe intermedie ti lascia col cuore sospeso.
È per questo che solo i bimbi che sanno dare fiducia possono vivere senza morire di paura.
Sì, la vita nasce dalla morte, la resurrezione spunta su una distruzione totale.
Ma a guardarci bene dentro scopriamo una cosa molto importante, direi fondamentale.
La resurrezione non è la riesumazione di un cadavere.
È altra cosa… state tranquilli.
Ve lo immaginate, ad esempio, il vostro corpo giunto, a forza di pillole, e di attenzioni, a 95 anni e che grida con la sua debolezza, la sua bruttezza di scomparire, vederselo ricomparire in piedi tale e quale dopo la resurrezione?
Che disastro!
Se la forza di Dio nella resurrezione fosse quella di riesumare un cadavere, gli direi umilmente ma sinceramente, a proposito del mio: “Signore, per favore, lasciami nella terra e che più nessuno veda la mia faccia”.
Semmai, se proprio vuoi servirti del letame del mio corpo, fagli spuntare sopra un fiore.
E basta!
No, fratelli e anche sorelle… che alla bellezza ci tenete ancora di più… la resurrezione non è la riesumazione di un cadavere anche se bellissimo come lo può essere quello di una bella ragazza che ha avuto la fortuna di morire a venti anni o quello dell’ adolescente amico del Pascoli che il poeta così ricordava sul letto di morte:
“Meglio morire con la testa bionda
che poiché giacque sul guanciale
ti pettinò quei bei capelli ad onda
tua madre, adagio per non farti male”.

C’è qualcun altro che pettinerà i nostri capelli ridotti a lesine dure dalla sofferenza della vita e bagnati dal sudore della nostra morte.
È il Dio della Vita che si avvicina alla nostra morte resa più morte dal tempo, dal peccato, dalle
esperienze del dolore e alitando come la prima volta nella genesi dell’universo ci dirà:
“lo faccio nuove tutte le cose”
e quindi faccio nuovo anche te!
Ti faccio come hai desiderato tu.
Tu desideravi amare e non ci riuscivi: ora ci riuscirai.
Tu volevi la castità e hai pianto sui tuoi fallimenti? Eccoti, ora, ti faccio casto.
Hai sognato di salvare tutti gli uomini e ti sei svegliato ogni giorno umiliato dal tuo egoismo e dalle tue paure: ecco ti faccio capace di comunicare con tutti i poveri dell’universo e di vivere finalmente il dono di te.
La resurrezione non è la riesumazione del mio cadavere. Quello non esiste più come V chicco di grano caduto nella terra.
Esso semmai è solo più il segno di un’ altra cosa che sta spuntando: la memoria di una storia vera, la mia, una continuità nella quale il meglio di me, la coscienza, ha trovato il suo ambiente e ha sviluppato la sua divina realtà a figlio di Dio.
La resurrezione è il trionfo di Dio in noi, la prova della sua potenza creatrice, la capacità di rinnovare tutte le cose.
È straordinario!
Isaia l’aveva profetato:
“Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuove terre.
Non si ricorderà più il passato
non verrà più in mente
poiché si godrà e si gioirà sempre
di quello che sto per creare”
(Isaia 65, 17)

e Giovanni visto coi suoi occhi incantati di amore 
“Io vidi la città santa, la nuova Gerusalemme 
scendere dal cielo da Dio
ed era bella come una sposa
adorna per il suo sposo”
(Atti 21,2).

È questo il mio corpo risorto dai morti, la nuova Gerusalemme che va incontro al suo Dio, i Cieli nuovi di Isaia, la T erra divenuta possesso di Dio.

 I cristiani di oggi stanno riscoprendo la Bibbia.
Hanno capito che
è Parola di Dio, la ricercano come Parola
di Dio, cercano di viverla come Parola di Dio.
La Bibbia
è come una grande carta topografica:
se la leggi, ti orienti.
Essa ti indica il cammino verso la vera patria: Dio.

 Questo è veramente il sogno di domani: la chiesa domestica 
come al tempo dei primi cristiani.

È evidente che è solo possibile quando si è camminato 
parecchio
e la famiglia è permeata di fede profonda
e di immenso rispetto per l’Eucarestia.
Il tempo però è maturo.

‘ideale degli ideali per chi vive in città e nella quotidiana 
“dispersione”
è quello di trovare una comunità di fede
e di preghiera, farsi una comunità di amore,
fondare una comunità Chiesa.
Chi ha questa fortuna
è già a metà del cammino
e molti problemi vengono risolti.
Si annuncia la “parola”, si prega sulla “parola”,
si vive la “parola”. Si diventa “Chiesa”,
si cammina assieme, ci si evangelizza
a vicenda.

 O tu che sei in casa tua
in fondo al mio cuore
fa’ che
ti raggiunga
in fondo al mio cuore.

(Da un canto Talmud)

 E gli va incontro ora.
Questa mia terra divenuta possesso di Dio acquista la capacità contenuta nella Resurrezione di Cristo. E il perché lo possiamo dire. Non diciamo “risorgeremo”, diciamo invece: “Siamo risorti”.
Come l’Incarnazione fa nascere l’Io di Dio nella T erra di Maria che è T erra nostra, così la resurrezione porta in tutta la realtà visibile del Cosmo e della storia la potenza trasformatrice e salvifica della resurrezione di Gesù.
È tutta la realtà che diventa capace di risorgere, di rinnovarsi, di deificarsi.
Dopo la resurrezione di Gesù la storia dell’uomo non può più finire nel caos ma cammina inesorabilmente verso la luce, verso la vita, verso l’amore.
E noi redenti che abbiamo le primizie dello Spirito siamo i primi a testimoniarlo.
È per questo che il Regno è già tra di noi.
È per questo che il Vangelo pur essendo un messaggio escatologico è nello stesso tempo un messaggio” oggi”.
Essendo noi già risorti abbiamo il potere delle cose di lassù, la capacità di vivere le cose impossibili dello Spirito: le Beatitudini.
Basta volerlo.
La potenza della resurrezione di Gesù, la capacità che ha Dio di fare “nuove tutte le cose”, viene trasmessa alla nostra natura di uomini.
D’ora in poi non è più pazzia dire:
Beati i poveri in spirito
Beati gli afflitti
Beati i miti
Beati quelli che hanno fame e sete
Beati i misericordiosi
Beati i puri di cuore
Beati gli operatori di pace
Beati i perseguitati per la giustizia

(Matteo 5,3-10).

Ma diciamolo chiaro: la capacità di vivere le Beatitudini è dovuta alla resurrezione di Cristo. Ed è perché siamo già; risorti in Lui; che lo possiamo fare. Chiamare ;beatitudine; la sofferenza, il pianto, la povertà, la persecuzione non è cosa normale per l’uomo-Adamo.
Solo l’uomo-Gesù poteva pensarlo e viverlo e più tardi comunicarlo come segreto suo.
Ma voi capite che tale segreto -la gioia di essere poveri, la gioia di essere perseguitati, la gioia di essere casti – è di una tale altezza e circondato da una tale delicatezza che solo in un amore non comune può essere vissuto.
E più ancora in una libertà assoluta.
Non può essere imposto.
Come tutti gli assoluti non possono essere imposti ma accettati liberamente nell’ amore.
Dio stesso non ce lo impone ma ce lo propone. E noi dobbiamo fare lo stesso.
Come è possibile per dei cristiani che capiscono il valore della libertà imporre agli altri gli assoluti della povertà o della castità?
lo posso essere entusiasta di una società ordinata come un convento, una società dove tutti vestono alla stessa maniera, mangiano più o meno la stessa quantità di riso e dove tutti condividono i loro beni come mi è parso vedere in Cina.
Però se mi accorgo che questo ordine è imposto – e naturalmente lo è – non lo posso accettare perché distrugge la mia essenza di uomo libero (1).

Io posso essere entusiasta di una Chiesa dove ogni uomo ha la sua moglie e solo quella, dove non esistono divorzi e tutto fila nell’ ordine, ma… non posso imporlo con una legge civile su un piano religioso.
Nemmeno Dio ha imposto il celibato agli uomini o la castità di una sola moglie lo ha proposto. Certo, e lo so che il volere di Dio è per me perfezione e mio bene, ma è solo nella libertà che lo posso realizzare. Senza libertà l’uomo è ucciso nelle sue più profonde essenze.
L’assoluto della castità è cosa talmente alta e legata all’ amore da arrestare Dio stesso sulla soglia del “sì” dell’uomo.
Come sono grossolani certi discorsi sull’unità matrimoniale basata sulla legge e fatti da cristiani che di Gesù ricordano tutto meno che le Beatitudini.

E non è poco!

Il che non vuole dire che non si possa fare il discorso della castità, dell’unità matrimoniale, del rispetto della vita agli uomini di oggi.
Lo posso e lo devo fare. Ma nella sede conveniente.
E se mi appello alla legge civile lo faccio da cittadino che rispetta la molteplicità delle culture e la realtà delle autentiche difficoltà della storia del vivere umano non ancora permeato di Vangelo.
E soprattutto per lasciar liberi tutti non cerco di imporre le mie idee religiose con la forza del numero a chi si appella ad altre culture o chi ha la sventura di non avere la fede.
Ma se mi appello alla divina legge che Gesù ha messo nel mio cuore e per la fedeltà alla quale sono disposto a morire, allora cambio tono e dico:
Fratelli, sorelle!
Dio nel suo figlio Gesù ci ha liberati dall’impero delle tenebre del paganesimo, della permissività, della potenza del denaro, del materialismo occidentale od orientale e ci ha collocati a vivere nel suo Regno di luce e di amore.
Noi non siamo come coloro che non credono alla resurrezione del Cristo e vivono come se le cose invisibili non esistessero.
Per la misericordia di Dio noi crediamo a Gesù risorto dai morti e da Lui attingiamo la forza di vivere su questa terra come Lui ci ha indicato nel Vangelo.
Se gli altri divorziano noi non divorziamo.
Se per debolezza o ignoranza o povertà ci sono delle donne che abortiscono, le nostre donne non abortiscono perché crediamo alla vita.
Per noi l’amore non è abbracciare un corpo ma un dono totale di noi stessi ad una creatura che dobbiamo amare come Dio stesso ci ama, e che non possiamo ingannare in nessun momento.
Questo modo di amare ci impone la castità che non è cosa semplice anzi che è cosa impossibile se non fossimo già “risorti in Cristo”, e se nella preghiera non attingessimo l’aiuto.
Non imponiamo agli altri la castità ma la vogliamo vivere come testimonianza che noi crediamo nel Dio Invisibile che vive in ciascuno di noi e che ci chiama a liberazione e salvezza.
Essere casti significa rispettare il nostro corpo e il corpo degli altri.
Essere casti significa guardare gli altri con occhi di bimbo, credendo che l’amore vero è possibile, che mai verrà meno su questa terra la meraviglia di un giovane e di una giovane capaci di donarsi totalmente, radicalmente, per sempre, come se il loro amore fosse già un pezzo di cielo.
Essere casti significa avere il dominio di sé perché non avvenga che nostro figlio sia frutto di una crapula o di un inganno passionale ma la libera scelta di una paternità o maternità cosciente ed amante che va oltre il corpo e affonda la sua gioia nel mistero stesso di Dio.
Essere casti significa vedere le cose e gli uomini con l’occhio puro di Gesù che nella sua visione messianica volle l’universo intero assorbito nella sfolgorante potenza della resurrezione in cui il
peccato stesso dell’uomo sarebbe stato vinto, distrutto e dimenticato.
E, infine, essere casti significa avere nel cuore il sogno di Maria madre del Cristo e Madre nostra che fu capace nella sua infinita piccolezza e umiltà vivere nello stesso momento e con lo stesso corpo le esigenze della verginità e della maternità.

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